Non è sempre tempo di mediare
Sono arrabbiata. Sento dentro di me la salutare fiamma di quella rabbia appassionata che porta pulizia e risveglio.
Non voglio più ascoltare il più o meno esplicito veleno della lamentazione, i “sì, però…”, gli “era meglio prima”… “ma avrei voluto che fosse diverso”…
Continuo a sentire riferimenti a “quando l’Italia si è fermata”… … …!!??…
Per quanto tempo ancora saremo ciechi ed autocentrati? Ci domandiamo CHI SI è FERMATO?
Si sono forse fermati gli operatori sanitari, le forze dell’ordine, i furgoni che consegnavano le merci di prima necessità, gli operatori ecologici, gli assistenti sociali, i dipendenti dei supermercati? Si sono forse fermati gli insegnanti o i genitori che all’improvviso hanno dovuto cimentarsi con la benedetta/maledetta DAD? E tutti quegli imprenditori che hanno pagato di tasca propria gli stipendi perchè si sono sentiti responsabili dei propri dipendenti? Si sono fermati??
Sono furibonda per la diffusa incapacità di incarnare un profondo e permanente stato di gratitudine, per l’abitudine malata di enfatizzare i propri diritti e la pressochè totale perdita di senso del dovere.
Mi sono nauseata di “opinioni personali” infarcite di supponenza e basate su “IO SONO”, senza mai farsi né fare domande.
E’ drammaticamente evidente quanto siamo ancora lontani dal senso del noi, dalla ricerca sincera e faticosa di una visione ampia, umile, fondata su dati di fatto e sul decentramento da sè. Persino le mappe geografiche sono diventate autoreferenziali!! …basta vedere come qualunque navigatore ci presenti il mondo a partire dal “centro”, ovvero il luogo in cui IO mi trovo ! Possiamo proprio dire che la rivoluzione copernicana non ci ha minimamente sfiorati.
Prevalgono le scenografie: chi ha la maggior capacità scenica si assicura l’audience del momento, aggancia le pance e scatena le emozioni. E…guarda un po’!… in una società che enfatizza la ragione, con una mente ipertrofica, incapace di vivere le emozioni e di riconoscerle come elemento fondamentale di conoscenza di sè, sono proprio le emozioni – incontrollate e incontrollabili – che diventano il principale strumento decisionale della società.
Non c’è ricerca di equilibrio interiore, non c’è maturità, non c’è responsabilità individuale e collettiva.
Di che cosa abbiamo ancora bisogno per risvegliarci?
“Il COVID è un’opportunità di crescita”: quante volte l’abbiamo letto o detto con convinzione! Ma la crescita non si può misurare dall’essersi resi conto di quanto stavamo incredibilmente bene chiusi in casa!
Prendo le distanze da tutti i “ricercatori spirituali” – me compresa – che si sono sentiti così bene, così realizzati nel constatare di non aver paura della solitudine e dell’isolamento.
Crescita è includere dentro di sè la complessità, guardare in faccia il nostro egocentrismo, le nostre rassegnazioni che ci rendono ignavi e che come un automatismo continuano a riprodurre lamentazioni.
Un esempio? Sono arrivate le tasse da pagare. Senza proroghe e senza sconti. Possiamo convenire tutti sul fatto che qualcuno con le competenze e l’autorità per farlo dovrebbe mettersi a cambiare un sistema basato su presupposti che fanno acqua da tutte le parti, tuttavia sono arrivate le tasse da pagare e sono l’unico modo che abbiamo per contribuire alle spese della nazione: ospedali, scuole, strade, ecc ecc… Mi fa piacere pagarle, soprattutto in questo momento in cui non ho entrate? NO. Ma è il mio contributo, il mio dovere: nei confronti dei miei figli e del mio nipotino che voglio crescano incarnando dei valori, nei confronti di mio padre che oggi ha 90 anni e ha passato la vita a contribuire a rendere migliore questo mondo, nei confronti di una società che si prende cura di me…come può.
Ai diritti corrispondono i doveri.
Il coro nella tragedia greca rappresenta la voce del cittadino, del pubblico. Ma è “lì anche per interrogare, per stabilire una distanza rispetto al problema, per situarlo altrove” (J.Morineau). I nostri “cori” che leggono tutto come una tragedia di cui i responsabili sono sempre “gli altri” sono la sconsolata immagine di un uomo-dio che fa dell’arroganza il proprio piedistallo.
Perchè scrivo questo? Interessa a qualcuno? Forse scrivo per dire a me stessa che c’è un tempo per la comprensione, per l’accompagnamento gentile e paziente, le parole soppesate…e c’è un tempo per la fermezza, la schiettezza cruda, spiacevole e magari brutale. Ecco, io sono arrivata lì.
Lo dicevo anche agli allievi del Master di Mediazione Familiare: ci sono momenti in cui è necessario che il mediatore intervenga in modo fermo e perentorio.
Ecco, io sono arrivata proprio lì.
Alla fine mi sono ammalata: nessuna possiblità di leggere, di scrivere, di parlare e…di mediare. Mi sa che ho continuato a mediare anche quando non era più tempo.
Fine delle lamentazioni e le tragedie greche me le andrò a vedere – se possibile – a teatro.
(Immagine “Gesù che caccia i mercanti dal tempio”, di Giovanni Battista Carlone)